fascismo | Daniele Rielli
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5 BUONE RAGIONI PER NON VOTARE GRILLO

Nota introduttiva a  5 BUONE RAGIONI PER NON VOTARE GRILLO –  Febbraio 2018

In questa pagina potete trovare quello che era il pezzo più famoso dell’ormai defunto blog quit the doner, pubblicato originariamente nel febbraio del 2013. Recentemente ho scoperto dagli analytics che è un pezzo ancora molto letto – in questo periodo di campagna elettorale raggiunge ancora diverse centinaia di lettori unici ogni giorno.

Mi sono perciò chiesto se mantenerlo o meno online.

Da un lato i cinque anni che sono passati dalla sua pubblicazione hanno confermato molte delle cose che avevo scritto riguardo al movimento 5 stelle, una su tutte la sua natura aziendal-autoritaria. Semmai anzi si sono aggiunte ulteriori pesanti ombre. Credo, ad esempio, che cinque anni fa nemmeno il movimento 5 stelle avrebbe potuto immaginare la candidatura a premier di un personaggio come Luigi Di Maio, persino per loro sarebbe stata fantascienza.

D’altro canto però oggi riscontro nell’analisi che scrissi nel 2013 anche una serie di ingenuità, assieme a dei passaggi eccessivamente meccanici e semplicistici che non condivido più e rispetto ai quali sento ormai il bisogno di marcare una differenza. Qui sotto trovate perciò un breve elenco delle cose su cui ho cambiato idea e di quelle di cui, invece, sono ancora convinto.

Mi sembra ad esempio espressione dell’inconscia senilità che affligge il pensiero di molti giovani italiani – e quindi al tempo anche del mio – l’indugiare nella centralità della distinzione fra destra e sinistra nell’agire politico. Questa sezione dell’articolo mi appare oggi particolarmente debole anche in virtù del fatto che negli ultimi anni si è ulteriormente approfondito il solco che già separava la sinistra (in particolar modo quella radicale) dal popolo, un tema già profetizzato Christoper Lasch ne La ribellione delle elitè e più recentemente affrontato da Luca Ricolfi in Sinistra e popolo , un esteso ed efficace studio proprio su questo tema. È ormai evidente che l’agenda politica della sinistra italiana (come quella di buona parte dei paesi occidentali industrializzati) è incentrata attorno ai diritti civili, tutela delle minoranze e correttezza politica. Al di là della loro legittimità sono tutte questioni molto care ad una certa fascia “riflessiva” della classe media, una parte di popolazione, cioè, largamente minoritaria che pone queste questioni al centro stesso della sua identità valoriale, ed è protetta, nell’esercizio delle sue convinzioni, da una spessa bolla di autoreferenzialità e di auto-frequentazione. Il popolo sembra oggi interessato a questioni più concrete ed immediate come il lavoro, la tutela del potere d’acquisto, la paura nei confronti di globalizzazione, digitalizzazione e immigrazione, tre fenomeni che generano bisogno di protezione. Tutte istanze che, anche in questo caso al di là della loro fondatezza, non trovano oggi alcuna sponda nella sinistra. In questo senso la classificazione di destra e di sinistra che proponevo nell’articolo mi appare oggi largamente superata dai tempi. Non sto con questo suggerendo che una risposta più efficace alle domande poste dal popolo possa provenire da una destra le cui ricette mi sembrano retoriche, fuori fuoco e realisticamente controproducenti sul medio-lungo periodo. Non sto neppure suggerendo – per inciso – che tutte queste richieste vadano prese ugualmente in considerazione.

Quello che mi augurerei è piuttosto un approccio che preveda delle policy orientate sì dalle convinzioni politiche degli schieramenti ma dichiarate nei programmi e implementate attraverso azioni concrete, misurabili ed eventualmente rimodulabili, con una catena della responsabilità chiara e ben definita. Un modus operandi che però appare ugualmente distante sia dai poli estremi dello schieramento politico italiano, che, drammaticamente, da quelli più moderati. Rispetto ad un approccio “studia il problema, proponi una soluzione, misura i risultati”, reso oggi più facilmente implementabile dalla tecnologia, il nostro Paese sembra invece rispondere con la ricetta di sempre: l’abuso di retorica. Il sapore di distacco dal tempo e di ciarlataneria che ci lascia questa campagna elettorale credo derivi proprio da questo persistere sulla retorica a discapito di ogni tentativo di conoscenza concreta del mondo – e del Paese.

Mi si potrebbe qui obbiettare che in fondo questo non è poi un approccio così diverso dal grillino “internet panacea di tutti i mali” ma in realtà la mia opinione si distacca nettamente dall’idea di una tecnologia “taumaturgica” di per sè. Dal momento in cui il potere di fatto è già passato in larga parte nelle mani delle piattaforme digitali e in quelle dei produttori di tecnologia, l’unica speranza di sopravvivere per la democrazia, con il suo carico ineliminabile di imperfezione, passa dalla capacità di implementare la tecnologia nei propri processi senza per questo venirne cannibalizzata. In soldoni la democrazia sopravvive se riesce a funzionare meglio anche grazie alla tecnologia e non a farsi distruggere da essa (Facebook ad esempio è al momento la più grande minaccia alla democrazia occidentale). Se questa sia un’evoluzione possibile mi sembra allo stato delle cose una domanda aperta, di certo c’è che nessuna forza politica italiana sembra neppure porsi il problema. Si tratta comunque di un tema complesso che meriterebbe non poche righe, come queste, ma un libro intero e che quindi non è purtroppo possibile approfondire ulteriormente in questa sede.

(nota giugno 2020, ora il libro c’è, lo trovi qui)

La sezione del vecchio articolo riguardante l’imperfezione del consesso umano e il pericolo connesso all’appello alla purezza dei grillini mi appare invece sempre più valido, e, anzi, oggi mi sentirei di estendere, come già in parte facevo nell’articolo sostenendo la necessità di un assetto pluralista, quelle valutazioni ben al di fuori dell’alveo del movimento 5 stelle. In altri termini il qualunquismo dei generici appelli ad “onestà” e moralità superiori in questi 5 anni si è esteso come un morbo virale ben oltre i confini del partito grillino, permeando giornali, televisioni, il linguaggio politico e quello comune e questo non può in alcun modo essere considerato un progresso.

Laddove infatti tutto il giorno non si fa altro che parlare di morale si può avere la certezza matematica che si anniderà l’immorale, o quanto meno colui che prima fa i bonifici poi li cancella. Insomma al reato bene che vada si aggiunge la farsa.

Condivido ancora le lunghe considerazioni sul verticismo, l’opacità e la natura fondamentalmente autoritaria del movimento 5 stelle, così come quelle sulle loro strategie comunicative, seppur naturalmente gli esempi portati nel pezzo risultino oggi inevitabilmente un po’ datati.

Non sono più convinto invece che il movimento 5 stelle sia legato a doppio filo all’ideologia liberista come, sulla base di indizi in fondo molto limitati, sostenevo allora. Il suo funzionamento mi sembra più simile, seppur in forma apparentemente caricaturale, a quello dei partiti totalitari, organismi dotati della capacità sincretica di assorbire le istanze più disparate e poi utilizzare alla bisogna quelle più adatte al raggiungimento, o al mantenimento, del potere in una meta ottica di auto-conservazione.

Traducendolo in parole più semplici il movimento 5 stelle ha la capacità di dire una cosa e il suo contrario e non vedere intaccato il consenso politico di cui gode. In un certo senso dà spesso l’impressione di essere stato progettato proprio per raggiungere questo scopo. Il tutto mentre politici progressisti, come ad esempio Matteo Renzi, passano buona parte delle loro giornate a rispondere di cose che hanno detto/fatto e che in quel determinato momento non risultano inquadrabili all’interno di una parabola coerente.

Infine durante e dopo la scrittura de “l’anomalia”, un lungo pezzo sul gioco del poker contenuto in Storie dal mondo nuovo (pezzo che, per chiudere il cerchio, inizia con un breve resoconto di quello che è accaduto alla mia vita dopo che quasi 800mila persone avevano letto il pezzo che trovate qui sotto), ho compiuto una serie estesa di ricerche che hanno cambiato profondamente il mio modo di vedere le cose. Un rendiconto, seppur parziale, di questi studi e di quello che ne ho ricavato è contenuto appunto nel libro ma per quanto riguarda gli scopi di questo intervento posso dire che ad oggi non ritengo più il liberismo come la fonte primaria di quello spaesamento e di quella incertezza che affligge così larga parte della popolazione, quel sentimento che Grillo e la sua creatura politica sono bravissimi a trasformare in consenso. In un certo senso anche quella era una spiegazione decisamente troppo semplice e lineare – il che, me ne rendo conto, è un aspetto non privo ironia. Oggi se proprio dovessi avanzare una spiegazione, pur conscio dei limiti di astrazioni di così ampia portata, riterrei il problema frutto di un mix complesso di cause, fra le quali troverebbe un posto importante il peso dell’infrastruttura tecnologica e della sua capacità di rendere possibile la creazione e la diffusione di una moltitudine di storie in tempi brevissimi e a costi irrisori.

Espando brevemente il concetto. L’apriori biologico, forgiato da millenni di selezione naturale, che ci porta a ragionare per storie produce sempre una quota parte di errore. Durante ogni atto interpretativo della realtà generiamo cioè anche una quota di “infedeltà” rispetto al fenomeno che osserviamo: è un limite insito nel nostro ragionare per storie. Un limite che ci fornisce però anche dei vantaggi (motivazione, coesione sociale, definizione di regole morali condivise) e ci ha aiutato , come specie, a dominare il pianeta. Il rischio oggi è che la moltiplicazione e l’onnipresenza delle storie aumentino anche l’errore residuo, contribuendo appunto alla creazione di una diffusa sensazione di spaesamento e ad una marea di errori pericolosi per l’esistenza della società stessa (ad esempio la diffusione delle panzane no vax può comportare il ritorno di malattie che si ritenevano debellate, con conseguenti epidemie, morti e crisi politiche). Il racconto e il mondo, in soldoni, corrispondono sempre di meno, perché aumentano i racconti e la loro moltiplicazione mette in discussione il loro stesso valore di verità, e a quel punto il potere autoritario che promette di erigersi sulle macerie delle verità, sostituendosi ad essa, acquista una sua rinnovata credibilità.

Per inciso aggiungo anche che una prospettiva che vede il liberismo come il male assoluto, come quella che si coglie più o meno fra le righe nell’articolo, mi appare oggi limitata e quanto meno incompleta. Per quanto ci siano senza dubbio un’abbondanza di lati oscuri nel capitalismo globale è ad esempio impossibile negare – i dati lo dimostrano – che gli ultimi anni hanno visto l’emersione dalla povertà di milioni di persone in tutto il mondo. Un mondo che oggi è, dal punto di vista materiale, molto più ricco – sebbene anche più diseguale – di quanto non fosse solo pochi anni fa. Non credo affatto sia un caso che i più determinati critici di questo modello di sviluppo siano quasi inevitabilmente membri della classe media intellettuale d’occidente, ovvero una di quelle (relativamente) più penalizzate dal punto di vista economico dalla globalizzazione e dalla digitalizzazione. Dovremmo avere l’onestà intellettuale di vedere come ciò che è male per noi, una piccolissima fascia privilegiata della popolazione mondiale, si sia dimostrato invece vantaggioso per un numero molto più ampio di persone nel mondo, persone che partivano da condizioni materiali infinitamente peggiori. Questo non toglie che il processo, implementato a livello globale, porti con sé anche una larga dote di sfruttamenti e violenze, oltre ad un modello di vita universale che tende a cancellare le differenze culturali e a porre la dimensione materiale e di consumo al centro di qualsiasi cosa. Mi sorge però ora il dubbio che gli unici a credere fino in fondo che il paradiso in terra fosse una possibilità concessa agli esseri umani siano stati storicamente proprio alcuni membri della privilegiatissima classe intellettuale occidentale.

Infine una nota sulla forma dell’articolo. Ho cercato di lasciare il più possibile intatto lo stile originario del pezzo, non ho molto altro da dire su questo se non che esprime in maniera abbastanza fedele il mio stato d’animo del tempo e il suo valore va quindi inteso come quello di documento. Un documento divertente.

Fatte queste debite precisazioni, qui sotto trovate il pezzo.

5 BUONE RAGIONI PER NON VOTARE GRILLO

(20.02.2013)

“Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odii, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno Stato bene ordinato e amministrato” 

Antonio Gramsci, L’Ordine Nuovo, 26 aprile 1921.

Quando è diventato chiaro che Berlusconi era troppo impegnato a cercare di limonarsi da solo per avere la lucidità politica necessaria a mantenere il potere, mi sono chiesto: cosa s’inventeranno questa volta gli italiani?

Domanda legittima quando hai ancora chiaro nei ricordi il clima da caccia alle streghe del 2001 quando l’Italia si divideva in due: da una parte le persone, dall’altra i berlusconiani in erezione. Continua a leggere