Daniele Rielli » Senza categoria http://www.danielerielli.it Daniele Rielli - IL FUOCO INVISIBILE è in libreria Tue, 30 Apr 2024 15:07:09 +0000 it-IT hourly 1 http://wordpress.org/?v=4.2.19 La colpa è degli altri http://www.danielerielli.it/lacolpaedeglialtri/ http://www.danielerielli.it/lacolpaedeglialtri/#comments Wed, 13 May 2020 12:57:37 +0000 http://www.danielerielli.it/?p=4406 Continua a leggere]]> Il fallimento di questa classe dirigente improvvisata è l’ultimo atto di una politica italiana che ha ipotecato il futuro per comprare consenso e tentare così di nascondere la gravità della situazione.

Ormai è evidente: il grande assente dal dibattito italiano sul Coronavirus è la questione del debito pubblico. Eppure, se nell’affrontare l’epidemia non ci possiamo permettere il relativo agio di Paesi come la Germania e andiamo invece con il cappello in mano a chiedere soldi ad altri Stati, è proprio per via del nostro debito.

Se all’inizio di questa emergenza l’Italia aveva meno posti in terapia intensiva per abitante rispetto ad altri paesi europei è perché per anni i soldi destinati a questo genere di investimento e alla crescita del Paese sono stati invece spesi (senza alcuna misura) per comprare consenso politico, alimentare clientele, tenere in vita artificialmente aziende decotte e finanziare una macchina burocratica che sembra passare la maggior parte del tempo a impedire agli italiani di lavorare.

Se ora si offrono prestiti – che non si capisce come dovrebbero essere ripagati nel contesto di crisi economica radicale che ci aspetta – o si discute di piccoli aiuti a fondo perduto  – in percentuali del tutto  insufficienti – per ristoratori, operatori del turismo e aziende colpite da Covid, è perché per decenni abbiamo buttato via i soldi che sarebbero serviti ad affrontare situazioni di emergenza come questa e a finanziare quegli investimenti magari in perdita nell’immediato ma utili alla salute del sistema sul lungo periodo, voci di spesa come sanità, istruzione, ricerca. Complice anche un contesto mediatico che – nel bisogno di vendere minuti di pubblicità al prezzo più alto – premia chi la spara più grossa, chi è più retorico, roboante e savonarolesco, la classe politica italiana degli ultimi decenni è stata contraddistinta da una caratteristica trasversale: una pressoché totale mancanza di responsabilità intergenerazionale.

Una quantità sostenibile di debito può avere senso se utilizzata per finanziare la crescita di un Paese, ma negli anni la strategia di base della politica italiana è stata quella di comprare consenso nel presente scaricando i costi sul futuro, in genere ammantando questa ruberia con grandi dichiarazioni di principi. In pratica quello che è stato fatto è un viaggio nel tempo per prelevare dai conti in banca di figli, nipoti e pronipoti, che tanto non essendo ancora nati non possono protestare. Che in Italia il tasso di natalità sia basso tutto sommato è una delle poche cose perfettamente sensate. Questo proprio mentre siamo oggetto delle mire espansionistiche di una dittatura – quella cinese – che per definizione ragiona sul lungo periodo. Il piccolo cabotaggio dell’attuale classe politica italiana rispetto all’enormità delle minacce che ci circondano è sotto gli occhi di tutti e ci rende terra di conquista delle più agevoli.

Il cambiamento che auspicavo nel mio pezzo all’inizio dell’emergenza era esattamente questo: un bagno di realtà sulle condizioni della società italiana e sulla tendenza suicida a farla guidare da persone del tutto inadatte, nel senso proprio di scarsamente competenti e inadeguate all’elevatissima complessità del compito che le aspetta.

Quello che invece abbiamo avuto è stata la grande caccia al Paese cattivo del nord che non vuole cacciare i soldi – domanda, noi cosa faremmo al posto loro? – e l’attacco in stile dittatura morbida contro chiunque sollevasse dubbi sul governo e sul suo operato. Si va dal tipico “E allora Salvini?”, riedizione contemporanea dell’ormai tragicamente famoso “E allora il Pd?” ai grotteschi appelli su Il Manifesto (Il Manifesto!) contro ogni dissenso con la cabina di regia.

Insomma, pluralismo e democrazia rimangono sempre concetti largamente alieni a quella parte dell’opinione pubblica che pare incapace di ragionare se non in termini di clan, famiglia, fazione. Per queste menti naturalmente tribali il merito delle questioni appare un noumeno irraggiungibile, una variabile in fondo del tutto irrilevante quando invece è l’unica cosa che conta ed è quello su cui si dovrebbe concentrare la dialettica delle parti politiche. L’Italia, al contrario, pare bloccata in un eterno o con me o contro di me.

Una delle differenze con la Germania ad esempio è che quando i comitati scientifici parlano alla Merkel, la Merkel, con tutti i suoi difetti, capisce quello che le stanno dicendo e dà tutta l’impressione di ragionare in maniera analitica. La preoccupazione numero uno di Conte sin dall’inizio è invece parsa essere quella di tranquillizzare, mediare, lanciare il sasso e poi nascondere la mano, vedere come si sviluppavano le cose, e in ogni caso comunque mai trattare gli italiani come degli adulti. Insomma nessuna linea chiara se non quella di agire come un vero uomo dei palazzi romani del potere[1], contesto nel quale infatti Conte si è formato: la relazione prima della competenza, la mediazione prima della decisione, la convenienza politica prima della realtà dei fatti, la cosmesi prima della presa di coscienza della gravità della situazione.

Con un atteggiamento del genere non si va lontano in generale, durante una crisi poi i risultati possono essere disastrosi, come infatti è regolarmente accaduto.

La reazione della politica di fronte all’inasprirsi della crisi è stata un’ulteriore sforzo nell’alterare la realtà fino a farci assistere a scene francamente surreali e da italietta come i momenti in cui Conte – durante le sue dirette Facebook – ha spiegato al popolo quanto l’azione del nostro paese contro il Covid fosse tenuta in massima considerazione nel resto del mondo. Come no, con un numero di morti che in quel momento era il secondo più alto del pianeta (ora è il terzo) tutti guardavano al modello Italia.

La vera cifra della considerazione di cui gode nel mondo questa classe dirigente italiana è nel ritardo con cui tutti gli altri Paesi europei hanno adottato misure di contenimento: nessuno ci ha preso sul serio. Ma facciamo finta per un momento che le cose stiano diversamente, che davvero, cioè, l’azione di governo italiana fosse ben considerata dagli altri Paesi, quanta sudditanza psicologica, quanta dichiarazione d’inferiorità contiene un’affermazione del genere? Chi fa i compiti a casa, chi si comporta seriamente, chi non ruba il futuro alle proprie generazioni, chi non reagisce istericamente alle domande dei giornalisti non ha bisogno di sentirsi dire dagli altri che sta andando bene, lo sa già.

Al contrario chi è nella confusione più totale, perché non ha categorie solide per interpretare la complessità e l’estrema variabilità del mondo agisce alla cieca e poi, di fronte al proprio fallimento, evoca apprezzamenti altrui. Insomma prova a nascondersi dietro i pezzi di carta, altro atteggiamento disfunzionale tipico dei sistemi burocratici in aperta decadenza. Si compie cioè il passaggio di responsabilità personale al documento che certifica che là fuori sarà pure tutto in fiamme, ma le carte sono in regola. Lo stesso riflesso pavloviano che porta Conte a dire che all’estero ci apprezzano moltissimo dopo che a due mesi e mezzo dall’inizio dell’emergenza ancora non si fanno tamponi a sufficienza, non è in uso alcuna tecnologia di tracciamento e non sono ancora disponibili in numero sufficiente mascherine e altre protezioni.

Il problema per il governo è che poi la realtà attorno a noi permane, tutti ne facciamo parte e la subiamo. Quello che succede, ad esempio, è che ristoratori e commercianti debbano riaprire – nonostante condizioni sanitarie precarie e (probabilmente) pochissimi clienti ad attenderli – perché lo Stato non ha i fondi per aiutarli e nello stesso momento si vogliono buttare ALTRI 3 MILIARDI per Alitalia, gli ennesimi. Il trucco comunicativo insomma è di corto respiro perché la realtà è fin troppo severa ed è sotto gli occhi di tutti. Un’Italia il cui lo sforzo maggiore della classe dirigente sembra quello di negare l’evidenza non ha futuro.

L’aspetto più terribile di questa situazione è che non sembra esserci nell’orizzonte politico alcun soggetto in grado di intestarsi a buon diritto i concetti di responsabilità e competenza e aggregare attorno a essi un consenso sufficiente a governare il Paese.

Qui il discorso è ampio, la risposta semplicistica è dire che in fondo agli italiani va bene così. Può darsi, anche se non credo. M’interrogo invece se sarebbe possibile nell’attuale contesto mediatico l’emersione di un politico che predichi responsabilità sui conti, visione di lungo periodo, affronti i problemi in maniera analitica e prima ancora di legiferare s’interessi dei meccanismi che regolano la quotidianità dei cittadini invece che limitarsi a fare sparate demagogiche e poi raffazzonare dei provvedimenti che aumentano solo l’entropia legislativa italiana. Mi sembra molto difficile. In maniere diverse i media generalisti da un lato e i social network dall’altro sono entrambi canali comunicativi che premiano l’audience e l’engagement – è così che fatturano pubblicità – e quindi campano di sensazionalismo, di retorica a buon mercato o di quotidiano sacrificio di un capro espiatorio.

EXFK2RGXgAYd-Wa

(Esempio di chiarezza legislativa italiana)

Per inciso il sacrificio del capro è l’esatto contrario della responsabilità, perché serve ad allontanare i responsabili dall’azione della giustizia, sacrificando al loro posto qualcuno che non c’entra nulla. È una sorta di meccanismo omeostatico con cui si bilanciano le società primordiali e che si cerca – sempre con un certo affanno, ma l’uomo è tutt’altro che perfetto – di superare attraverso lo stato di diritto e il governo delle leggi. La riemersione del meccanismo capro e con esso dell’impossibilità di individuare le vere responsabilità, segnala sempre l’avanzato stato di decadenza di una società, il ritorno, cioè, alle sue forme primitive, alla guerra di tutti contro tutti.

Le esigenze sensazionalistiche dei media contemporanei – afflitti da una radicale crisi del modello di business –  sono tuttavia una condizione strutturale comune a tutte le democrazie occidentali avanzate, che pur in affanno non sembrano, almeno nella maggior parte dei casi, trovarsi in situazioni drammatiche quanto quella italiana.

È quindi nella specifica declinazione nazionale – la maniera cioè con cui questa situazione tecnologica-industriale dell’informazione impatta su una specifica cultura – che va ricercata una parte delle cause della nostra situazione.

In sostanza l’unione fra una cultura retorica e idealistica come quella italiana mal si sposa con dei mezzi di comunicazione che hanno un’uguale ritrosia nei confronti dei fatti, dei dati, dei numeri e, potremmo spingerci dire, del semplice argomentare logico.

Come uscirne?

[1] Un interessante ritratto di questo mondo scritto da un insider è contenuto in  “Io sono il potere”, Feltrinelli, 2020

Image by djedj from Pixabay

]]>
http://www.danielerielli.it/lacolpaedeglialtri/feed/ 0
“LASCIA STARE LA GALLINA” Rassegna stampa http://www.danielerielli.it/2595/ http://www.danielerielli.it/2595/#comments Mon, 11 May 2015 11:25:41 +0000 http://www.danielerielli.it/?p=2595 Continua a leggere]]> doner By Roberto Seclì 1(Photo by Roberto Seclì)

RECENSIONE SU STYLE-CORRIERE DELLA SERA di Severino Colombo

Schermata 2015-06-02 alle 16.53.45

Recensione sul “Nuovo quotidiano di Puglia” di Teo Pepe

Schermata 2015-06-22 alle 18.44.05

IO DONNA ( corriere della sera)

Lascia stare la gallina di Daniele Rielli

di Francesca Cingoli

Lascia stare la gallina

Lascia stare la gallina è un racconto a più voci che non dà tregua. Protagonista è la terra di Salento, piena di luce ma anche di tanta ombra: è l’ombra minacciosa della delinquenza, fatta di contrabbandieri, piccoli spacciatori, poliziotti corrotti, faccendieri, prostitute.

Le voci narranti, da punti di osservazione diversi, si fondono in un racconto di minaccia incombente: l’ex poliziotto, che gestisce con sinistra disinvoltura una pletora di attività e aspira alla massoneria, il suo socio, diviso tra ristorazione e prostituzione, lo spacciatore un po’ fricchettone, molto sballato ma sempre attento, il giornalista idealista e marxista, che vorrebbe cambiare il mondo, la sua fidanzata, che gioca una doppia partita.

Tutto parte da un assassinio in campeggio, ragazzi che dal nord arrivano in Salento per vivere la libertà del mare: canne, sesso in spiaggia, dancehall e musica rap. Una selva di studentelli, deejay e punkabbestia, terreno multicolore di divertimento che ingolosisce la piccola grande criminalità locale. Si parte da questo, ma i giochi si fanno negli studi eleganti di avvocati e politici, sugli yacht, e nelle ville di quelli che contano. Perché sono l’ambizione e il potere le forze che muovono i fili della trama, fitta ma solo in apparenza complicata.

Un linguaggio brillante, che elettrizza, inchioda alla lettura. Non è tanto l’intrigo, il filo del giallo, a non consentire al lettore di alzare gli occhi dalle pagine, quanto la scrittura, serrata, ironica in maniera sorprendente, tagliente, che azzarda anche il dialetto e non sbaglia. Un libro da leggere, oltre 600 pagine che scorrono vivaci, spietate, brillanti.

Recensione di Gianni Santoro su Repubblica

Schermata 2015-06-28 alle 21.18.40

INTERVISTA AL NUOVO QUOTIDIANO DI PUGLIA  di Valeria Blanco

Quando tutti osannavano il Salento dei beach party, i suoi reportage ne mettevano a nudo, con sarcasmo, i meccanismi perversi. E quando il Movimento 5 Stelle raccoglieva il 25% dei voti, un’analisi sul suo blog – che poi gli è valsa il Macchianera italian award 2013 come miglior articolo dell’anno – illustrava i cinque buoni motivi per non votare Grillo. Il fatto che allora fosse “solo” un blogger, nascosto dietro lo pseudonimo di Quit the doner (Basta con i kebab, ma questa è un’altra storia), non cambia la voglia di Daniele Rielli di offrire uno sguardo sorprendentemente inedito sulla realtà.

Il caso e le origini leccesi vogliono che il romanzo sia ambientato nel Salento, metafora della provincia italiana. Inutile dire che il quadro non è quello del sole, del mare e del vento a cui il marketing territoriale ci ha abituato. Si tratta di un romanzo corale e complesso, con un massiccio uso del dialetto e una sottotrama noir. E, a guardare in controluce, dietro la storia dell’arrampicatore sociale s’intravede il tramonto di una società che, troppo concentrata a difendere i suoi privilegi, non si accorge che sta per estinguersi, superata e travolta dal mondo. Ed è proprio da qui che parte Rielli per raccontare “Lascia stare la gallina”. Continua a leggere

 

INTERVISTA AL “CORRIERE DEL MEZZOGIORNO” di Michele De Feudis

 

Schermata 2015-08-22 alle 20.29.12

Intervista a “La Gazzetta del Mezzogiorno” di Fabio Casilli

 

 

Schermata 2015-08-11 alle 14.34.08

INTERVISTA SU RIDERS

di Lorenzo Monfredi

033_R05

 

Intervista con Giulio D’Antona Su Minima&Moralia

UN TEMPO CONOSCIUTO COME QUIT THE DONER

Mi sono trovato diverse volte nella posizione di discutere con Quit riguardo al problema del (suo) nome. La prima è stata a Torino, più o meno esattamente un anno fa. Era appena uscito il suo primo libro, Quitaly (Indiana, 2014) e la discussione si è protratta per tre giorni ed è sfociata in un profilo. La seconda volta è stato a Milano, in piena estate. Le cose sono andate più velocemente, perché sembrava che il grosso del lavoro fosse fatto: si preparava alla pubblicazione di un romanzo e non vedeva una grande urgenza di abbandonare lo pseudonimo — ma d’altra parte… E tutto si riapriva di nuovo. La terza volta è stato a New York, in autunno. A quel punto aveva cominciato a fare quasi tutto da solo, io avevo espresso le mie opinioni e non erano servite a granché per risolvergli il dubbio. Quindi, a dire la verità, è stato abbastanza sorprendente dover preparare questa intervista, perché non sapevo come sarebbe andata a finire.  Il primo romanzo di Quit The Doner si chiama Lascia stare la gallina (Bompiani, 2015) e uscirà il 21 maggio . Porta con sé alcuni passaggi fondamentali per la vita e per il lavoro dell’autore, che cominciano da una domanda molto più importante di quanto non sembri.

Come ti chiami?

Martina Veltron… ah no scusa Daniele Rielli.

E fin ora come ti hanno chiamato?

Quit , Quit the doner, Doner,  o KKASSTA.

Cosa è successo nel frattempo?

Scrivere è diventato il mio mestiere a tempo pieno e sono un po’ stufo di vivere come un agente segreto senza soldi per il baccarat e le Aston Martin

Quante volte ti sei sentito ostacolato dallo pseudonimo e quante volte ti ha tirato fuori dai guai?

(Continua a leggere su  Minima&moralia )

Schermata 2015-06-12 alle 18.50.29

 

 

 

Intervista di Flavia Capone su Radio Rock AM

Podcast

Recensione Finzioni Magazine

di Andrea Sesta

Schermata 2015-05-30 alle 16.09.51

Salvatore Petrachi, il protagonista principale di Lascia stare la gallina, si serve del genere giallo per scalare la scala del potere. Ora mi spiego.

Ancora una volta, e come se ce ne fosse bisogno, il genere giallo si dimostra il più adatto per parlare del presente. E non perché i telegiornali non raccontino bene la realtà con dovizia di plastici ed esperti di ogni disgrazia umana, ma perché il giallo ha la caratteristica (innata? non credo, ma andiamo avanti) di fare luce sugli angoli bui della società di cui parla. Il primo film neorealista è Ossessione, del 1943, di Luchino Visconti. Una donna e il suo amante vagabondo (spoiler) amazzano il marito, aprono una trattoria, ma a un certo punto si separano per poi finire… non ve lo dico. Ma, per arrivare al punto, è chiaro che tra ricerca di una narrazione sincera, autentica, approfondita e disincantata della realtà e genere giallo ci sia un legame molto stretto. Di genere parliamo, ma non solo, sia chiaro. Teniamo un secondo questo concetto e lasciamolo lì.

Quit the doner l’abbiamo conosciuto anni fa per i suoi reportage divertenti e straordinariamenta analitici, in un periodo storico in cui online si faceva la gara per tagliare tagliare tagliere lui è stato uno dei primi a mettere in discussione il mantra. Mettendolo in discussione con successo, i suoi post (e articoli poi) lunghissimi hanno dimostrato che un’altro modo di scrivere – e leggere – è possibile. A furia di semplificare, delle notizie rimane solo il titolo e una gif. Ecco, l’autore di questo racconto non è più semplicemente Quit the doner (che nella scorsa recensione avevo ipotizzato fosse una donna) ma un ometto sulle trentina scarsa, di nome Daniele.

Daniele Rielli lo conosciamo da oggi, con questo suo primo romanzo, potente, sarcastico e, violentemente sagace. Leggetelo vicino a una bottiglietta d’acqua e a un’asciugamano, vi farà venire caldo e sete.( Continua a leggere su Finzioni magazine)

pratosfera_logo

 

Intervista di Alessandro Pattume

Ho iniziato a scrivere per caso su un quotidiano locale e devo dire che mi eccitava poco perché io volevo raccontare le cose in modo più articolato, così ho aperto un blog” confessa Daniele Rielli al telefono, una mattina di maggio.

Forse nelle scorse settimane avete letto sul Venerdì di Repubblica il reportage sul Salento alle prese con la Xylella, il batterio che attacca gli ulivi, oppure quello più lungo e articolato comparso su Internazionale sempre sullo stesso argomento. Ecco, l’autore di questi due articoli è sempre lo stesso, solo che in calce al pezzo sul Venerdì il nome dell’autore non è Daniele Rielli ma Quit The Doner. Quit The Doner come l’omonimo e seguitissimo blog. Quit The Doner quello dei “5 buoni motivi per non votare Grillo” che ha vinto i Macchianera Internet Awards (185 mila condivisioni, 600 mila lettori) e quello dei lunghi, esilaranti reportage per Vice alla scoperta dell’Italia dei nostri giorni confluiti poi nel libro “Quitaly” (Indiana Editore).

Quit The Doner – Daniele Rielli sarà a Prato domani 27 maggio, al Museo Pecci (ore 18, ingresso libero) insieme a David Allegranti, giornalista del Corriere Fiorentino, per l’incontro “Da inchieste a storie: il futuro del giornalismo”. Non è certo un caso. Perché in un mondo all’apparenza stantio come quello che si para di fronte a tutti coloro che sognano di fare il giornalista oggi in Italia, la storia di questo emiliano classe 1982 racconta che qualcuno può risalire la corrente e dall’anonimato di internet finire per essere cercato e blandito anche dai vetusti pachidermi dell’informazione italiana. E può riuscire a farlo, tra l’altro, attraverso una forma giornalistica che in Italia è davvero rara, almeno fino ad ora, quella propriamente detta, alla maniera anglosassone, long form journalism, quel giornalismo narrativo fatto di pezzi lunghi e lunghissimi, ricchi di analisi, di personaggi e di foto. Magari è solo l’eccezione che conferma la regola, ma rappresenta comunque una piccola gemma nel panorama italiano. (continua a leggere su Pratosfera)
Intervista Coming Soon

di Federico Gironi

Arrivo alla libreria Giufà, nel cuore del quartiere San Lorenzo, con un po’ di anticipo rispetto all’orario dell’appuntamento con Quit the Doner, che ora sappiamo chiamarsi Daniele Rielli. Nel giro di pochi anni, quello di Quit è diventato un marchio popolare e riconosciuto nel mondo del giornalismo italiano, grazie ai suoi lunghi e partecipi articoli-reportage che hanno raccontato dall’interno e dall’esterno i fenomeni più interessanti (o magari oscuri) della società nostrana di oggi: da Grillo al retroscenismo parlamentare, passando per raduni alpini, mercati ortofrutticoli milanesi, il Fuori Salone, le fiere di fumetti e le epidemie che minacciano gli uliveti pugliesi.
E ora, col suo vero nome, Quit ha anche pubblicato un romanzo, dal perentorio e paradossale titolo: “Lascia stare la gallina”.

Lui ha otto anni meno di me, e questa cosa mi fa venire una strana ansia, che decido di anestetizzare ordinando una birra media al bar interno alla libreria.
Giunto a metà pinta, mi rendo conto che dovrei guardarmi intorno per individuare il mio intervistando, quindi mi alzo, e vengo scorto dall’ufficio stampa che segue Quit nell’intervista e nella successiva presentazione del suo libro.
Diverso da come me lo immaginavo, Daniele è quasi più schivo e imbarazzato di me quando ci presentiamo; ma, quando passiamo alle cose serie, molla gli ormeggi e parla di tutto e di più con leggerezza e attenzione allo stesso tempo. A me è bastato dare il la, poi ha fatto tutto lui.
Il risultato è un’intervista che non poteva non essere che long form:
(clicca qui per leggere il seguito)

]]>
http://www.danielerielli.it/2595/feed/ 0
“Hotel immagine” di Simone Donati e un po’ anche mio http://www.danielerielli.it/hotel-immagine-di-simone-donati-e-un-po-anche-mio/ http://www.danielerielli.it/hotel-immagine-di-simone-donati-e-un-po-anche-mio/#comments Mon, 21 Sep 2015 11:22:57 +0000 http://www.danielerielli.it/?p=3464 Continua a leggere]]>  

I nomi collettivi servono a far confusione. “Popolo, pubblico… “Un bel giorno ti accorgi che siamo noi. Invece, credevi che fossero gli altri

E. Flaiano

Qualche tempo fa ricevetti un email di un fotografo che mi chiedeva di scrivere postfazione e didascalie per un libro di foto sull’Italia. Si chiamava Simone Donati e lavorava per Der Spiegel Le Monde, Newsweek , Internazionale e l’Espresso e soprattutto era molto bravo, per cui gli dissi di sì.

Mercoledì 23  alle ore 21 io e Simone saremo alla Fabbrica del vapore a Milano a presentare quello che ne è venuto fuori.

Il lavoro di Simone per questa raccolta ruota attorno ad alcuni luoghi d’Italia dove l’immagine si fonde con la fede, la massa con l’identità il tricolore con una serie di cose di cui pubblicamente tendiamo a vergognarci ma che poi, per dire, ubriacandoci a cena con dei tedeschi finiremmo probabilmente per difendere, almeno un po’ o almeno alcune.

Schermata 2015-09-21 alle 13.15.09

(questa ad esempio no)

Il suo sguardo si posa su comizi elettorali, trasmissioni televisive del mattino, gran premi di moto, concerti di cantanti melodici, ritiri del Napoli in Trentino, selezioni per reality, musei delle cere sulla vita di Padre Pio, ritrovi di nostalgici fascisti a Predappio, il temibile festival di San Remo dove ho scoperto esiste una statua di Mike Buongiorno, raduni oceani per veggenti in ottimi rapporti con la Madonna.

Schermata 2015-09-21 alle 13.12.04

(Un mio vecchio amico ritratto da Simone mentre mima la democrazia diretta)

Oggi quelle foto corredate dai commenti presi dalle pagine fb nate attorno a quegli eventi, dei miei commenti ai commenti e di una postfazione sempre colpevolmente mia, sono state riunite in Hotel Immagine un libro da collezione tirato in 750 copie. Dopo l’uscita siamo finiti anche sul New York Times

 

INYT (1)

(prova fotografica del Ny times che ho esibito ai parenti )

Le copie in tutto sono  750 di cui buona parte sono già andate via, ma potete ancora provare ad accaparrarvi una delle rimanenti  qui e se state a Milano se vi va ci si vede mercoledì.

 

 

]]>
http://www.danielerielli.it/hotel-immagine-di-simone-donati-e-un-po-anche-mio/feed/ 0
Dicono di QUITALY http://www.danielerielli.it/quitaly-in-libreria/ http://www.danielerielli.it/quitaly-in-libreria/#comments Sun, 12 Oct 2014 03:10:47 +0000 http://www.danielerielli.it/?p=2467 Continua a leggere]]> quitaly_3d

Una splendida capacità di vedere le cose e una scrittura così brillante da trasformare più o meno tutte le mostruosità in ritratti acuti e divertenti

Il Sole 24 ore

Il libro mostra il talento di questo immersive journalist dalla scrittura veloce e le idee chiare

Internazionale

Una voce brillante e originale che coglie alla perfezione lo spirito dei tempi

La Repubblica

Si è fatto conoscere grazie a inchieste insolite e irriverenti per un eccezionale senso dell’humour, per l’acutezza dello sguardo, per la felicità della scrittura

Goffredo Fofi su Lo Straniero

Non perdetevi questo libro

Huffington Post

Reportage fra l’ironico e il narrativo sul modello del giornalismo americano o forse del libello settecentesco alla Candide

L’Unità

Un fenomeno in rete racconta un paese narcisista ed eccessivo

Panorama

Disponibile in libreria e online su:

 

Ibs

Feltrinelli

Amazon

Hoepli

]]>
http://www.danielerielli.it/quitaly-in-libreria/feed/ 0
“L’esercito con gli occhiali a specchio” è il nuovo singolo degli Africa Unite http://www.danielerielli.it/lesercito-con-gli-occhiali-a-specchio-e-il-nuovo-singolo-degli-africa-unite/ http://www.danielerielli.it/lesercito-con-gli-occhiali-a-specchio-e-il-nuovo-singolo-degli-africa-unite/#comments Mon, 30 Mar 2015 11:06:20 +0000 http://www.danielerielli.it/?p=2574 Continua a leggere]]>

“‘L’esercito con gli occhiali a specchio” è il nuovo singolo degli Africa Unite, liberamente ispirato al mio omonimo reportage reportage per Linkiesta poi ripreso su Quitaly.

Forse è la prima volta che un reportage diventa una canzone, non lo so con certezza, ma di sicuro il mio cameo sotto la doccia rimarrà negli annali.

Grazie a Mada, Alex, Braga e Francesca.

 

]]>
http://www.danielerielli.it/lesercito-con-gli-occhiali-a-specchio-e-il-nuovo-singolo-degli-africa-unite/feed/ 0
Il giorno in cui l’emozione superò la notizia http://www.danielerielli.it/il-giorno-in-cui-lemozione-supero-la-notizia/ http://www.danielerielli.it/il-giorno-in-cui-lemozione-supero-la-notizia/#comments Mon, 21 Jul 2014 10:31:26 +0000 http://www.danielerielli.it/?p=2428 Continua a leggere]]> foto (23)

(Le rivoluzioni nascono in provincia)

 

NOTA: Questo racconto è apparso originariamente nel luglio 2014 su Linkiesta, il  12.03.21 Repubblica è uscita con questa prima pagina: 

EwPEnJGWEAUKdc_-2

 

Sulle prime il sorpasso dell’emozione sulla notizia generò un certo grado di scandalo, commenti caustici, battute ironiche, sdegno, predicozzi, annunci d’imminenti apocalissi, la maggior parte dei quali su Facebook ma in qualche caso anche fra persone con un lavoro.

La svolta in realtà era nell’aria da tempo. L’emozione, scalpitante, subdola e già segretamente al comando, innervava la cronaca da decenni, accontentandosi però di dettare, con lo spietato automatismo di chi non deve certo spiegare cose ovvie, la scelta degli aggettivi e degli avverbi, generando prese di posizione evidenti ma astutamente accucciate alle spalle dei sostantivi e dei fatti, con l’atteggiamento complottante di chi si prepara a uno scherzone ai danni delle coscienze degli italiani.

Così la vittima del pirata della strada era per definizione “innocente” anche se magari fra le mura di casa torturava furetti tenerosi, in banca possedeva azioni di aziende di armi e in cucina non asciugava mai bene i piatti dopo averli lavati. La vita dell’accusato di un omicidio particolarmente infame e degradante veniva all’opposto scandagliata alla ricerca di qualsiasi cosa che per quanto ovvia e diffusa fosse in grado, forte del nuovo contesto di linciaggio sociale, di generare feroci vampate di sdegno popolare, alzate di forconi e la sensazione di possedere una, per quanto ridotta all’osso e assai generica, superiorità civica.

“Grazie alle analisi costate 24 milioni di euro e una serie poliziesca interpretata da una muta di cani antropomorfi su Canale 5, gli inquirenti hanno trovato sul computer del presunto killer di Castenedolo le prove che nel 2004, 9 anni prima del delitto, il signor Nunzio Capro avrebbe guardato un porno”

Egli dunque non solo era un assassino ma anche era proprio come noi, un motivo in più per odiarlo.

“Il filmetto pornografico rinvenuto sul computer dell’operaio specializzato del bresciano, sarebbe inoltre di particolare scabrosità, (nel titolo c’è la parola Hardcore, in inglese “zozzissimo”), un tenore che il Fatto quotidiano è in grado di ricostruire nello specchietto-inchiesta di Beatrice Borromeo.”

IL VIDEO ZOZZISSIMO DELL’ASSASSINO di B. Borromeo

Tutto inizia con l’arrivo del ragazzo delle pizze (timido quattordicenne introverso che ascolta solo Dente), ma a sorpresa quello parallelo alla sua gamba non è un ombrello…

Tuttavia tutto questo mischiare la cronaca con il commento non solo peggiorava la prima e prosciugava di originalità il secondo, ma richiedeva un sacco di sforzo che in molti incominciavano a subodorare essere inutile. Le prime sperimentazioni per l’ambizioso obbiettivo lavoro zero si mossero sulle orme ideologiche del Quizzy, il giustamente dimenticato telecomando per rispondere ai quiz da casa inventato dal pioniere della Silicon Valley, Mike Buongiorno.

Schermata 2021-03-13 alle 11.59.24 AM

(Il Quizzy)

L’idea era quella di sviluppare una sorta di ostracismo digitale esteso non solo alla cacciata dei reprobi ma anche alla libera espressione di tutto il colorito ventaglio di emozioni di cui è capace l’uomo. Da “bruciare altra etnia come reazione all’ennesima bollette del gas insensata” a “inesauribile gioia tantrica per gli sconti al centro commerciale”, compreso. Si trattava in altri termini di esortare il popolo tutto a esprimere liberamente i suoi istinti incontrollati, per il nobile scopo civico di migliorare gli acquisti dei quotidiani o il tempo di permanenza in pagina.

Mentre i massimi esperti pianificavano la strategia di fronte a pile di tazzine caffè e altro cibo-stereotipo per indicare “duro lavoro”, uno stagista fece notare che utilizzare il termine “ostracismo” avrebbe avuto le seguenti controindicazioni:

37% di commenti tronfiamente compiaciuti della propria ignoranza “ho smesso di leggere a “ostracismo”

27% di “TL:DR. Una parola di 10 lettere… tiratevela di meno, merde. ”

13% di “Tiratevela ha 10 lettere, cretino”

 

I saggi ringraziarono commossi lo stagista e dopo averlo licenziato per insubordinazione, incominciarono a cercare un nuovo metodo. Si decise allora di approntare un sistema da quello a immagini della sonda Pioneer, se poteva funzionare per le misteriose creature dell’universo che forse non avevano un linguaggio, c’erano buone speranze che fosse intellegibile anche al popolo dell’internet. Questo fu il risultato, qui ritratto nella sua versione sul sito del Corriere:

 

Schermata 2021-03-13 alle 11.59.46 AM

(screenshot dell’ultima volta che ho usato il sistema di voto di Corriere.it)

Non male, ma il sistema presentava ancora due svantaggi:

  1. Nonostante la possibile manipolazione emotiva dentro gli articoli questo approccio presupponeva che fossero i lettori ad esprimere il loro parere, seppur ridotto a 5 faccette assertive.
  2. (direttamente conseguente) bisognava ancora scrivere gli articoli, il che costava indubbiamente fatica.

La vera svolta, il cambio di paradigma e il nuovo modo di concepire il problema germogliò a Bologna, città la cui storia era già ricca di trovate autenticamente geniali, una fra tutte il Liber Paradisus con cui, nel 1256, il Comune abolì la servitù della gleba perché dopo aver fatto due conti si era reso conto che se liberati e sottoposti a tassazione i servi avrebbero fruttato di più.

Questa volta fu il locale “Resto del Carlino” a rendersi conto che cercare di insufflare emozione nei fatti di cronaca era uno sforzo inutile e condizionato da una visione del mondo non più supportata dai fatti.

 

Schermata 2021-03-13 alle 12.06.33 PM

 

 

Perché tutte queste remore, perché questa ipocrisia di fondo? Non erano forse plebiscitariamente convinti che a far vendere fosse l’emozione e non certo la notizia? E allora, molto pragmaticamente, era ora di rivoluzionare le priorità e non star lì a pettinare le bambole della deontologia. La soluzione era sotto gli occhi di tutti: dare una chiara e semplice indicazione al lettore, risparmiandoli il faticoso compito di crearsi un’emozione mentre lo si manipolava con le sberle dello stile e lo si infilzava con le armi bianche delle frasi fatte.

Era l’uovo di Colombo.

Una soluzione talmente ovvia ed efficace che di lì a poco fu copiata da tutti. Presto le Home page dei giornali diventarono un unico gigantesco collage di emozioni suggerite.

IRA. INVIDIA. ODIO. GIOIA CALCISTICA. GENERICO SENSO DI INGIUSTIZIA. FIDUCIA. PAURA. MATTEO TI AMA. INDIGNAZIONE. INDIGNAZIONE X 2. SCHADENFREUDE PER CHI NON SA COSA SIGNIFICA SCHADENFREUDE. PASSIVITÀ. FEDE. TERRORE. MATTEO ANCHE SE SEI ORMAI NEI TUOI ANTA UN LIMONE TE LO DAREBBE COMUNQUE. DESIDERIO. DISPERAZIONE. SPERANZA. EMULAZIONE. FAME. BLU. TRIANGOLO.

L’unico sentimento vietato era “indifferenza” poiché tutto questo nuovo sistema d’informazione era detto “era dell’engagement”. La gente, come sempre, si abituò in fretta e in capo a pochi mesi non apriva più nemmeno gli articoli, gli bastavano i titoli. Se quel giorno la giornata era iniziata male, tuo figlio aveva gli orecchioni e il medico di turno non si vedeva, oppure ormai era luglio inoltrato e non avevi ancora ricevuto dal giornale per cui lavoravi metà dello stipendio di giugno (coff coff), bastava scegliere un pezzo che recitasse “INDIGNAZIONE” e condividerlo a scatola chiusa sui social. Non c’era bisogno di altro, era un ottimo rimedio alla cacofonia dell’informazione e si risparmiava pure un sacco di tempo. La cosa positiva era che quando fior fior di giornalisti scrivevano lunghi editoriali per descrivere questa nuova era come il tempo delle opportunità per chi avesse voluto narrare la realtà senza passatismi e inutili lamentele, nessuno andava oltre il titolo “OPPORTUNITà”.

Presto furono sviluppate App in grado di spedire lo stato d’animo corrispondente alle news del momento direttamente sui mobile o sui nuovi dispositivi wearable.

Per aumentare la fruibilità si decise di unire la geniale trovata del Carlino (ormai studiata nei Ted Talks che da tempo avevano sostituito il sistema universitario statale) con l’ultima fase di sviluppo dell’approccio precedente, per cui nei titoli si abolirono le parole e li si sostituirono con le faccine ormai considerate vintage, che divennero così il design Braun del nuovo millennio. Se sulle Google-Lens (le lenti a contatto di Google) appariva una faccina in lacrime sapevi che qualcosa di brutto era successo, e battendo appena le palpebre avevi accesso a una rapida ricostruzione per eleganti immagini grafiche dell’avvenuto. Se si trattava di un infanticidio, appariva una mamma stilizzata che muoveva a scatti quella che sembrava una mannaia su quello che aveva tutte le sembianze di un pupo sul fasciatoio. Se invece era caduto un aereo, il disegnetto di un Boeing assumeva di colpo i puntuti contorni dell’esplosione nei fumetti.

Ma esattamente com’era successo con i titoli scritti, i fornitori del servizio si accorsero (i numeri non mentono e tutto su internet è tracciabile e, fidatevi, tracciato) che solo un 10% degli utenti riteneva necessario andare oltre la prima faccina, quella indicante l’emozione da assumere. Una percentuale non sufficiente a giustificare i costi redazionali degli articoli-disegni (Newsapp la più importante app di informazioni del mondo nel 2049 aveva 3.5 miliardi di utenti e 7 dipendenti che avrebbe volentieri ridotto a 5). Perciò Satoshi Puddu, il vulcanico fondatore sardo-nipponico di NewsApp decise di lasciare attivo solo il servizio principale.

 

Schermata 2021-03-13 alle 12.06.46 PM

(Il vincitore del premio Pulitzer 2039)

 

Ad un occhio non abituato all’era dell’engagement le strade di una qualsiasi delle megalopoli tutte uguali della terra del 2050 avrebbero sicuramente presentato degli elementi di stranezza. Non era difficile incontrare una coppia di amici in preda all’ilarità e intenti a sorseggiare un aperitivo (Nel suo 29° anno di governo il presidente Renzi era riuscito ad imporlo come bevanda ufficiale dell’ONU in cambio della cessione degli Uffizi alla nuova potenza mondiale, lo Sri Lanka) e altrettanto facile era osservare una delle due persone incupirsi senza preavviso per alcuni lunghi secondi. Questo spegnimento emotivo accadeva in corrispondenza dell’apparire di un faccino triste sulla viscosa superficie delle Google-Lens. Osservati i secondi di lutto di ordinanza, la persona riprendeva di colpo il tono e l’umore di prima, come se nulla fosse accaduto.  Nessuno infatti poteva permettersi di ignorare la faccina perché l’indifferenza era diventato l’unico reato contro la pubblica morale, e come può capitare quando tutte le società in cui vivono svariati miliardi di persone ruotano attorno ad un unico principio etico come ad un gigantesco giunto cardanico, le punizioni tendevano ad essere pesantine. Ovviamente però in caso di brutte notizie non era necessario prendere provvedimenti pratici (anche perché non sarebbe stato chiaro in che direzione, dato l’ermetismo dei faccini) era sufficiente mostrarsi in sintonia emotiva per qualche secondo, magari ri-condividere il faccino sfiorandosi il perineo,  dove da tempo era impiantato il sensore corporale di Facebook, e il dovere del bravo cittadino era esaurito.

Ugualmente in grado di colpire un osservatore proveniente da un altro pianeta, sarebbe stata la scena di un funerale, specie se sugli occhiali del vedovo fosse comparsa la faccina rasserenata corrispondente al ritrovamento di Muffy, la cagnetta abbandonata in Corea e tornata fino al Molise a nuoto (c’erano stati grossi sviluppi anche nei valori nutrizionali del cibo per cani).  Ancora più memorabile sarebbe stata questo genere di occorrenza se tutti i partecipanti avessero avuto il loro mobile impostato sullo stesso tempo di ricezione delle notizie (i gestori del servizio tendevano a sfasare la ricezione per evitare incidenti di massa, ma famiglie o gruppi di amici potevano comunque richiedere di venire sincronizzati). In casi come questi i funerali erano interrotti da fragorosi sospiri di solivo e segni di giubilo, che a loro volta generavano notizie rappresentate da faccini sorridenti, o sdegnati, a seconda di chi riportava la notizia e di chi era il morto.

A quel punto tutto sul pianeta poteva essere riassunto in 5 emoticon e di fatto lo era.

Nessuno sapeva bene a cosa nello specifico corrispondevano quelle faccine, e a ben guardare questo significava che potevano anche non corrispondere a nulla. E fu esattamente quello che venne fuori nella primavera del 2041, quando la procura di New York indagò la seconda app d’informazioni a livello globale, Foggiaoggi.com (1,3 miliardi di utenti nel mondo), per aver diffuso faccini senza fondamento. Di quest’avvenimento però nessuno seppe mai nulla perché la copertura giornalistica dello scandalo fu un faccino indignato.

Nel 2070 Rosemary Catozzo e Franco Chan se ne stavano seduti sul prato di villa Spada a Bologna. Lui aveva intenzione di proporle di passare tutta la vita assieme e di legarsi a lei per mezzo di una certa antica tradizione contro natura eppure ancora endemicamente diffusa. Un rito di origine religiosa poi diventato anche civile con cui due persone s’impegnavano a dividersi le bollette e a pagarsi gli alimenti fino a quando sarebbero campati. Una specie di cerimonia…non gli veniva in mente la parola. Eppure anche i suoi genitori l’avevano fatto. Beh… fece per rivolgersi alla sua ragazza, in qualche modo ci sarebbe riuscito. Si sarebbero capiti anche senza quello stupido concetto. Appena ci provò si rese però conto che gli mancavano le parole. Letteralmente. In realtà tutto il suo intero pensiero non era stato altro che un susseguirsi di rappresentazioni e immagini nella sua testa

I suoi genitori che si sposano in chiesa. Lui che guardava trasognato Rosemary. Un libro di Baricco (quello era un effetto collaterale del nome Rosemary). Un tizio di mezza età che prova sguardi profondi allo specchio, (quello era l’effetto del libro di Baricco), Franco che faceva l’amore con lei e di fianco una bolletta e una calcolatrice che divideva la cifra per due.  Per ogni pensiero che ho provato ad esprimere qui in italiano, Franco aveva  prodotto una nebulosa immagine equivalente.

“Si sarebbero capiti anche senza quello stupido concetto” diventava: lui e Rosemary che correvano su un campo mano nella mano.

Assalito dall’improvvisa consapevolezza di aver perso l’uso della parola, Franco si sentì come se qualcuno gli avesse aspirato fuori l’aria dai polmoni con un compressore per droni da carico.  E a ben guardare anche questa sua angoscia era priva di parola, e altro non era che l’immagine mentale del suo volto con gli angoli esterni della bocca ben puntati a mezzaluna verso il terreno.

In un momento di consapevolezza epifanica Franco realizzò anche per la prima volta che loro due non avevano mai parlato prima.  (non parlato mai prima d’ora era: lui e rosemary muti mentre un orologio scorreva velocissimo)

Rosemary (ma a questo punto poteva essere sicuro che quello fosse veramente il suo nome?) lo stava fissando senza intuire in lui null’altro che il suo sgomento, poi però i suoi occhiali lampeggiarono e lei assunse uno sguardo prima indignato poi divertito.

Franco provò ad articolare un paio di tentativi di comunicazione basati più sulla buona volontà che su una vera strategia linguistica ma la cosa si arenò pateticamente sulla parete interna dei suoi denti. Gli tornò allora in mente sua madre, affacciata tanti anni prima sulla porta della cameretta mentre lui se ne stava sotto le coperte con l’influenza (influenza era: pezza bagnata appoggiata sulla fronte). Con un atto di sovrumana concentrazione focalizzò il ricordo sul volto della sua genitrice e zoommò sulle sue labbra fino a quando non gli parve di vederle muoversi e di sentire nuovamente le sue parole. Sì, non c’era dubbio. Quelle erano parole. Se le rigirò in testa diverse volte e fu come se il loro senso stesse riemergendo da un pavimento ricoperto di polvere, spazzato dall’aria di una porta spalancata dopo un’infinità di tempo.

Gli occhiali di Rosemary s’illuminarono di un faccino mesto e lei fece un’espressione annoiata, reazione alla notizia dell’uscita al cinema del nuovo film di Virzì, “Ovosodo 45”.

Franco ormai però aveva qualcosa da dire. Non era quello che voleva originariamente ma non era nemmeno poi tanto male. Con uno sforzo enorme sussurrò

“Come stai?”

Un faccino speranzoso comparve in quel momento sulla sua lente di destra per via della formazione del nuovo governo, e per una volta andava bene così.

Il dispositivo di Rosemary lampeggiò a sua volta tre notizie in sequenza: felicità, indignazione, noia, e quando finalmente tacque, lei aveva un inedito volto smarrito. Anche a Rosemary per parlare toccò impegnarsi parecchio ma alla fine riuscì con molta fatica a mettere in piedi una piccola frase

“Non lo so”

disse e aveva la stessa espressione angosciata di chi si è perso in una terra straniera. Ma fu un attimo, perché una manciata di secondi dopo il dispositivo aveva già emesso un altro faccino sorridente.

 

]]>
http://www.danielerielli.it/il-giorno-in-cui-lemozione-supero-la-notizia/feed/ 0