MUGELLO, L’ULTIMO GRANDE RAVE (Reportage) | Daniele Rielli

MUGELLO, L’ULTIMO GRANDE RAVE (Reportage)

  • 29 giugno 2016
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La pianificazione è andata avanti per mesi, attraverso un gruppo di WhatsApp. Correva via 3g una cospirazione di stampo motociclista finalizzata a presenziare al Gran Premio d’Italia 2016 del MotoGp, quello della possibile, grande rivincita di Valentino Rossi. Si trattava d’infilarsi nel centro esatto di quello che i giornali di solito liquidano come una specie di allegro sfondo colorato racchiuso nelle formule “grande atmosfera” o “popolo giallo”, oppure sintetizzano con un numero di quelli che non riescono a rappresentare nemmeno lontanamente ciò che indicano: centomila persone.

La prima cosa che penso una volta fuori dalla tenda con vista notturna sulle curve dell’Arrabbiata, è che sarebbe più corretto parlare di ultimo grande rave italiano. La notte prima del Mugello però non si suona house, techno, o drum and bass, ma motoseghe. O meglio: c’è anche musica, più o meno ovunque, ma la competizione fra dj con i muri di casse e le Husqvarna, la vincono a mani basse le seconde. Da qui si origina lo slogan ormai mitologico: «Al Mugello non si dorme» scandito ad ogni angolo, ad ogni ora: la promessa d’insonnia è la prima regola del fight club degli amici della miscela. Il biglietto d’ingresso è quello Night&Day per il prato, ovvero tutto ciò che circonda il circuito e non è né tribuna né paddock; le tende sono ovunque, anche fuori dai bagni, così come i camper.

Il pratone è una specie di anello incompleto, manca un lato, un accampamento lungo chilometri in cui gruppi di ragazzi camminano agitando le motoseghe, private della cinghia e della marmitta e spesso con l’aggiunta surrettizia di trombe d’amplificazione. Quando accelerano persone di tutte le età, e nell’ordine delle decine di migliaia, esultano. Alle volte le motoseghe crescono, diventano tosaerbe o veri e propri motori, di moto o di auto, smontati dai loro mezzi d’origine e uniti a scarichi lunghi un metro e mezzo, accrocchi che hanno due scopi: fare un rumore che attraversa la valle da pendice a pendice, ed emettere fiammate come draghi futuristi. Il rumore è il rumore, dotato quindi di un suo valore intrinseco, ma qui è anche la rappresentazione immobile della velocità.  Quando di giorno una moto sfreccia nella pista di sotto non si manifesta mai senza rumore, stridulo quello della Moto Tre, monotono quello della Moto Due, imperioso, grasso e per definizione più interessante, quello della MotoGp. E così ogni motosega è casino, ma è anche una preghiera e un riferimento alla sostanza divina e non replicabile della velocità. O almeno questo è quello che mi sembra perfettamente sensato al quarto vodka-tonic. Continua su STORIE DAL MONDO NUOVO ( ADELPHI)